
Questo documentario racconta lo stato dei CPR italiani, le strutture in cui i migranti vengono rinchiusi, senza aver commesso alcun reato, solo perché privi di permesso di soggiorno, nell’attesa di essere rimpatriati nei Paesi di origine.
In Italia ci sono 10 di questi centri, che possono ospitare circa 1.300 persone. I dati del Garante per i diritti delle persone detenute o private della libertà personale mostrano che la maggior parte di chi è detenuto in queste strutture proviene da Tunisia, Marocco, Egitto e, in generale, dal Nord Africa.
I CPR assomigliano a delle carceri, ma le condizioni in cui vivono i detenuti sono perfino peggiori, perché non hanno gli stessi diritti che il sistema carcerario invece assicura. La loro gestione è affidata a cooperative private e multinazionali, che ottengono appalti per milioni di euro di fondi pubblici, riducendo i servizi di base pur di aumentare i profitti
Questo sistema ha gravi conseguenze sulla vita dei prigionieri: ogni giorno si verificano episodi di autolesionismo, e solo negli ultimi tre anni sono morte nove persone.
Il documentario indaga su alcune di queste morti, sul rapporto tra lo Stato – che dovrebbe garantire il rispetto dei diritti umani all’interno dei centri – e le società private incaricate, mostrando immagini dall’interno dei centri raccolte grazie a telecamere sotto copertura.
Il documentario è stato realizzato con il contributo del Premio Roberto Morrione.